La sensibilizzazione alla donazione degli organi per implementare una cultura della donazione e del trapianto di organi. L’obiettivo è quello di diffondere la cultura del trapianto e di incrementare il numero dei donatori.
Sconosciuto fino a cinquant’anni fa, il trapianto di organi è attualmente un intervento frequente. In tutto il mondo le persone trapiantate sono 60.000 ogni anno, l’equivalente della popolazione di una intera città: in Italia si fanno più di 3.000 trapianti all’anno. Molti tuttavia continuano a ignorare l’utilità del trapianto: questo è il primo motivo che ha spinto la COPEV, una Associazione di malati di epatite con sedi a Milano, Roma e altre città italiane, a preparare queste pagine.
Ogni trapianto esige una stretta collaborazione tra medici e società civile: senza l’assenso al prelievo da parte dei familiari non ci sarebbero donatori e senza gli organi dei donatori il trapianto è impossibile.
Il problema della donazione e della gestione delle liste di attesa
Negli ultimi vent’anni il numero dei donatori e conseguentemente quello dei trapianti è aumentato nel nostro Paese in misura significativa.
Fino ai primi anni ’90, infatti, l’Italia era agli ultimi posti della classifica europea sia dei donatori che dei trapianti: oggi alcune delle nostre regioni sono in questo campo tra le più avanzate di tutta Europa e la media nazionale è superiore a quella di grandi Paesi come la Francia, la Germania e l’Inghilterra.
La tendenza all’incremento è tuttora in atto: secondo i dati del Centro Nazionale Trapianti, mentre nel 2003 in Italia si sono avuti 18,5 donatori per milione di abitanti, nel 2008 abbiamo superato i 23.
L’aumentata disponibilità di organi deriva non soltanto da una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica ai problemi del trapianto ma anche dal miglioramento generalizzato del sistema organizzativo e, per quanto riguarda il rene e il fegato, dal continuo incremento dell’età dei donatori-cadaveri. Attualmente, infatti, anche il fegato cosiddetto ‘marginale’, appartenente a individui anziani, può essere trapiantato con ottimi risultati: 10 anni fa questa ipotesi non veniva presa in considerazione.
Tuttavia l’insufficiente numero di donatori è, da noi come all’estero, un problema ancora aperto che tende inoltre ad aggravarsi. Infatti, se i donatori non aumenteranno, dal momento che le indicazioni al trapianto sono sempre più ampie, anche in considerazione dei risultati ottenuti, nel prossimo futuro ai malati in lista di attesa si aggiungerà ogni anno un numero molto alto di nuove richieste. E’ già accaduto. Nel 2002, per esempio, agli oltre 1400 pazienti in lista di attesa per il trapianto di fegato se ne sono aggiunti in Italia altri 1300. Per rispondere pienamente a tutte le domande di trapianto occorrerebbe in realtà un incremento del 30-40% rispetto al numero attuale dei donatori. Si tratta di un traguardo difficile da raggiungere: ma se si guarda ai dati di altri Paesi (in particolare la Spagna: 38 donatori per milione di abitanti) non è impossibile.
Per capire il problema in tutti i suoi risvolti, va detto che una lunga permanenza in lista di attesa si traduce inevitabilmente per i pazienti nel rischio che la malattia peggiori ma anche nel timore di non arrivare in vita al trapianto. Questo è vero, in particolare, per i malati di cuore e di fegato. Per questo ultimi la mortalità media in lista di attesa è attualmente superiore al 5% Dunque, il fatto che l’organo ‘nuovo’ non arrivi in tempo rappresenta per i malati che attendono il trapianto una eventualità purtroppo possibile e probabilmente la più importante causa di disagi psicologici e ansia.
A queste considerazioni di carattere generale si aggiungono quelle che riguardano lo squilibrio territoriale esistente nella penisola italiana relativamente sia alla disponibilità degli organi da trapiantare sia dei trapianti eseguiti. E’ uno squilibrio tuttora grave, nonostante che negli ultimi anni le isole e le regioni del Centro-sud abbiano recuperato una buona parte dello svantaggio rispetto al Centro-nord.
Il secondo problema aperto, dopo la donazione, è quello della gestione delle liste di attesa e in particolare della scelta dei pazienti da trapiantare ogni volta che si rende disponibile un organo. Su questo versante le Autorità sanitarie nazionali hanno adottato recentemente provvedimenti che non mancheranno di produrre in futuro risultati positivi: tra gli altri, il Protocollo per lo scambio di organi in caso di trapianti urgenti (aprile 2003) e le nuove Linee-guida per la gestione delle liste di attesa e l’assegnazione degli organi (ottobre 2004). Tuttavia, come dimostra anche il confronto tra i criteri adottati dalle più importanti organizzazioni internazionali di trapianto, può avvenire che gli elementi in gioco non siano gestiti con criteri omogenei e condivisi. Può accadere, per esempio, che un certo numero di pazienti sia trapiantato quando è in buone condizioni di salute mentre altre volte, al contrario, il trapianto risulta impossibile per malati meritevoli di maggiore attenzione. Individuare soluzioni non arbitrarie e nello stesso tempo soddisfacenti sotto il profilo clinico è una impresa ardua: è giusto che si sappia, però, che la comunità medica nazionale ha nel mirino anche questo tipo di problemi ed è seriamente intenzionata a risolverli.
Da ultimo, va sottolineato come le prospettive dell’epatologia si siano arricchite all’inizio del nuovo millennio di nuove, straordinarie soluzioni che vanno al di là del trapianto di organi. Basterebbe pensare ai progressi della ricerca sul vaccino anti-HCV, il virus dell’epatite C, e alle promesse che vengono dall’utilizzazione terapeutica delle cellule staminali. Come diceva Newton, ‘io mi vedo fanciullo a giocare sulle rive del mare…(mentre) davanti a me si stende l’immenso, inesplorato oceano della verità’. Tuttavia la consapevolezza delle enormi potenzialità che appartengono al futuro non può esimerci da una maggiore diffusione e da un continuo miglioramento delle prestazioni medico-chirurgiche che, come il prelievo e il trapianto di organi, la medicina è in grado di offrire ai malati di oggi.
La struttura organizzativa
Ecco come è strutturata in Italia l’organizzazione del trapianto di organi:
Il Centro nazionale Trapianti, o CNT, è un organismo del Ministero della Sanità. Ha il compito di mettere a punto le linee guida per i trapianti e di coordinare l’attività dei centri regionali e interregionali soprattutto nei casi urgenti. Il CNT ha creato un gruppo di 5 clinici esperti, disponibile 24 ore su 24, cui i Centri-trapianto possono rivolgersi per chiedere un secondo parere nei casi più complessi.
Le organizzazioni interregionali sono 3.
Il Nord Italia Transplant (NITp):comprende Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Marche e provincia di Trento.
L’Associazione Interregionale Trapianti (AIRT): vi aderiscono Emilia Romagna, Piemonte-Valle d’Aosta, Puglia, Toscana e provincia di Bolzano.
L’Organizzazione Centro-Sud Trapianti (OCST): opera nel Lazio, nelle regioni meridionali e nelle isole della Sicilia e Sardegna.
I Centri regionali trapianto hanno un ruolo fondamentale per quanto concerne la donazione degli organi. Ad essi fanno riferimento, infatti, i reparti di rianimazione degli ospedali che segnalano i donatori. L’assegnazione degli organi e gli esami di laboratorio che precedono ogni trapianto sono attività condivise con i Centri interregionali secondo modalità che variano da caso a caso.
I Centri-trapianto gestiscono le ‘liste di attesa’ cui si iscrivono i pazienti che aspettano un organo nuovo. Ogni paziente deve iscriversi a una unica lista di attesa. In Italia vi sono attualmente 51 centri per il trapianto di rene, 23 per quello di cuore e 21 per il trapianto di fegato. I Centri-trapianto debbono essere autorizzati dal Ministero della Salute.
Come diventare donatori
Nel nostro Paese la donazione di organi è regolamentata attualmente dall’articolo 23 dalla legge 91 del 1° aprile 1999 che dà al cittadino, per manifestare la propria volontà nel merito, queste possibilità:
1. Una dichiarazione scritta con nome e cognome, data di nascita, gli estremi di un documento di identità, data e firma. Chi firma, dichiara di essere favorevole (o contrario) al fatto che i propri organi, dopo la morte, siano prelevati per essere trapiantati.
2. Il tesserino blu inviato dal Ministero della Sanità nel maggio del 2000 (ma non tutti l’hanno ricevuto), debitamente compilato. Sono valide anche la tessera firmata dell’Aido e quella di altre Associazioni di volontariato o di pazienti che contengono una dichiarazione a favore della donazione.
3. Una dichiarazione scritta sulla donazione fatta presso la Asl o il proprio medico di famiglia. Qualsiasi dichiarazione firmata obbliga medici e parenti a rispettare la volontà di chi l’ha firmata dopo la sua morte. Moltissime volte, però, il defunto non ha lasciato alcuna dichiarazione scritta in merito alla donazione degli organi. In questo caso la legge attuale prevede che dopo la morte i famigliari (coniuge non separato, convivente more uxorio, figli maggiorenni e genitori) possano opporsi al prelievo. Di fatto, prima di prelevare organi o tessuti perché siano trapiantati, è necessario che i medici ottengano l’autorizzazione dei famigliari. Se chi muore è un minorenne, sono i genitori a decidere: quando uno dei due è contrario, il prelievo non può essere effettuato.
Cosa succede nella pratica
Nella pratica quotidiana possono verificarsi 3 casi diversi: i primi due sono attualmente molto rari, quello di gran lunga più frequente è il terzo:
- Il singolo ha espresso in vita volontà scritta favorevole alla donazione: i famigliari non possono opporsi al prelievo.
- Il singolo ha espresso in vita volontà scritta contraria alla donazione: non ci può essere prelievo.
- Il singolo non ha firmato alcuna dichiarazione sulla donazione: il prelievo è consentito solo se i famigliari non si oppongono.
Le domande più comuni
Cosa donare?
Tutti sanno che si possono donare alcuni degli organi del corpo: meno noto è il fatto che anche i tessuti corporei possono essere prelevati e donati. Rientrano nel primo campo i reni, il cuore, il fegato, i polmoni, il pancreas e l’intestino. Nel secondo vi sono la pelle, le ossa, i tendini, le cartilagine, le cornee, le valvole cardiache e i vasi sanguigni.
Perché donare ? E perché proprio io?
Perché trapiantando organi e tessuti è possibile salvare la vita – o migliorarla drasticamente – di una o più persone. La donazione dunque è un gesto di solidarietà: per quale motivo rifiutarlo ?. Tutti debbono sapere¸inoltre, che un giorno anche loro potrebbero avere bisogno di un trapianto.
I pazienti in attesa devono pagare per ricevere l’organo da trapiantare?
No, in Italia i costi del trapianto sono interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Neppure chi dona organi e tessuti viene pagato e in nessun caso è obbligato a farlo. Per questi motivi la cessione di organi e/o tessuti destinati al trapianto viene definita un dono.
Molte volte i familiari del defunto negano l’assenso al prelievo. Quali sono i motivi di questo atteggiamento?
Si possono fare diverse ipotesi. La prima, la più improbabile, è che venga meno quel senso di solidarietà che spinge a fornire aiuto a chi ne ha bisogno. La seconda è che alcune convinzioni radicate impediscano di consentire al prelievo degli organi: tra queste, la paura di ‘rovinare’ il corpo del defunto. La terza ipotesi, la più probabile, è che sul trapianto manchi una informazione accurata: anzi che siano tuttora diffusi molti pregiudizi. Se questo è vero (e in molti casi lo è), chi dice no al prelievo e al trapianto non sa bene a che cosa si oppone.
Che cosa pensano del trapianto le diverse confessioni religiose?
In numerose occasioni gli ultimi Papi si sono dichiarati favorevoli sia al prelievo degli organi che al trapianto: e hanno sottolineato la validità della donazione come gesto di solidarietà. L’ebraismo considera il trapianto come atto salvavita, prioritario sulla volontà di mantenere integro il corpo dei defunti. Gli stessi giudizi valgono per la religione islamica: tutto quanto viene fatto per mantenere la salute non soltanto è lecito ma raccomandabile. Nel buddismo non esistono direttive precise: ognuno, però, ha libertà di optare sia per la donazione che per il trapianto. Il fatto che su questi temi tutte le grandi confessioni religiose diano un giudizio positivo dovrebbe far riflettere.
Come si fa a essere certi che al momento del prelievo il donatore sia realmente defunto?
Prelievo e trapianto di organi hanno suscitato nuovi interrogativi sulla morte e sul suo accertamento. La scienza, tuttavia, è in grado di rispondere con chiarezza. La prima cosa da sapere è che, nonostante la grande varietà di eventi e malattie che possono causare il decesso, esiste un solo tipo di morte: è quella che si verifica quando una persona ha perso tutte le funzioni dell’encefalo (il cervello). Non è vero dunque che si muore perché ‘si ferma il cuore’ (arresto cardiaco o cardiorespiratorio). Dopo un infarto o un annegamento, per esempio, il cuore può riprendere a funzionare spontaneamente o in seguito a una manovra esterna (per esempio un massaggio cardiaco) anche dopo diversi minuti. L’arresto cardiaco provoca la morte soltanto dopo 20 minuti circa e il motivo sta nel fatto che la prolungata carenza del flusso di sangue rovina irrimediabilmente il cervello. Dunque il cervello, non il cuore, è il motore della vita.
L’assenza di funzioni cerebrali, d’altra parte, può essere verificata con certezza. Per garantire che la dichiarazione di morte sia esente da errori, la legge italiana (DPR 10 settembre 1990, n. 285) esige che venga preceduta da 3 diversi esami: l’esplorazione dei riflessi neurologici del ‘tronco’ cerebrale, la parte più importante del cervello; il ‘test dell’apnea’, che consiste nel verificare se il paziente riesce a respirare da solo; infine l’elettroencefalogramma (ECG), che consiste nell’esplorare l’attività elettrica del cervello. L’ECG è l’esame fondamentale per l’accertamento della morte. Questo insieme di esami elimina ogni possibilità di errore .Soltanto dopo averli eseguiti un medico, il quale appartiene di solito al reparto di rianimazione dove il paziente è ricoverato, può fare la diagnosi di morte.
Alla diagnosi debbono seguire 6 ore di ‘osservazione’, eseguite da un collegio di 3 medici: un rianimatore, un neurologo e un medico legale. Nessuno di loro deve far parte delle équipe che preleveranno gli organi o che eseguiranno l’eventuale trapianto: durante l’osservazione i tre esami elencati sopra debbono essere ripetuti per almeno 3 volte. Soltanto al termine del periodo di osservazione, si può redigere il certificato ufficiale di morte e iniziare, quando è il caso, il prelievo degli organi destinati al trapianto.
Si deve concludere osservando che nessuna dichiarazione di morte è così certa e ‘garantita’ come quella fatta in ospedale per l’assenza delle funzioni cerebrali. Pensiamo ai moltissimi certificati di morte firmati in casa del paziente: nessuno di essi ha alle spalle accertamenti clinici e strumentali così meticolosi.
Che differenza c’è tra coma e morte?
La differenza è radicale e non è neppure difficile da capire. Il coma, infatti, indica una situazione di compromissione cerebrale di vario livello (coma leggero, coma profondo eccetera) ma non una assenza completa di attività cerebrale. Per questo motivo il coma non è mai ‘irreversibile’, come molte volte, a sproposito, recitano la TV o i giornali: è una situazione dalla quale si può sempre ‘tornare’, anche dopo mesi o anni. Dalla morte cerebrale, invece, non si torna mai: l’assenza delle funzioni è irreversibile.
È vero che l’aspetto del cadavere, durante il periodo dell’osservazione, è simile a quello di un vivente?
Sì. Nelle 6 ore dell’osservazione le termocoperte e l’uso del respiratore assicurano al cadavere del potenziale donatore alcune caratteristiche esteriori simili a quelle di un vivente: il colore della pelle, per esempio, il calore del corpo, il movimento ritmico dei polmoni. Ma queste caratteristiche sono il frutto di interventi esterni (oltre a quelli elencati, anche la somministrazione di alcuni farmaci), senza i quali gli organi del cadavere andrebbero incontro a un processo di rapido deterioramento che ne renderebbe impossibile il trapianto. Le caratteristiche esteriori non sono tuttavia segnali di vita ma di una condizione artificiale che ha l‘unico scopo di conservare l’organismo in buono stato durante il periodo di osservazione. E’ perfettamente comprensibile che i familiari della persona deceduta siano indotti a pensare dal suo aspetto che il loro parente ha qualche speranza di vita: anche in questo caso un giudizio motivato e chiaro non può nascere che dal colloquio con i medici e dalle loro spiegazioni.
Una decisione da prendere in fretta: anche per questo la donazione è difficile?
Sì, una delle difficoltà maggiori del consenso alla donazione sta nel fatto che la richiesta di prelievo fatta dai medici dei reparti di rianimazione ha bisogno di una risposta in tempi brevi. Infatti, dopo 10-12 ore dal momento della morte nessun intervento esterno, come la coperta termica o il respiratore, è in grado di salvare gli organi dal deterioramento che ne impedirebbe il trapianto: i parenti, di conseguenza, devono decidere sul prelievo dopo qualche ora dalla morte. Per capire questa situazione, bisogna considerare il fatto che spesso i donatori non muoiono per malattia ma per incidente: può accadere dunque che ai familiari la richiesta di prelevare gli organi sia fatta immediatamente dopo, o contemporaneamente, alla notizia della morte, non raramente improvvisa, del congiunto. E’ comprensibile che, per chi nutre qualche perplessità sulla donazione degli organi, il poco tempo a disposizione per prendere una decisione sia un ostacolo in più.
A volte, dicono gli esperti, i parenti del donatore si sentono in colpa per non aver saputo proteggere la vita del loro caro: altre volte fanno fatica ad accettarne la morte. Più spesso accade che medici e pazienti non riescano a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda: allora (avviene spesso) la richiesta del prelievo può essere percepita dalla famiglia come proveniente da un mondo estraneo al dolore che occupa, in quel momento, tutto il loro orizzonte.
Ma non sempre è così. Anche nella tragedia da cui si è colpiti, la cultura della solidarietà può fare immediatamente riconoscere, nella richiesta del prelievo degli organi, una domanda di aiuto che sarebbe ingiusto respingere. Molte volte la possibilità di collaborare, attraverso la donazione degli organi, alla salvezza di un’altra vita appare come la prima opportunità positiva nel deserto del lutto. In questo caso il consenso al prelievo può attenuare il dolore del distacco: diventa di conseguenza un gesto spontaneo.
È possibile farsi trapiantare all’estero?
Era relativamente facile fino a qualche anno fa. Oggi la carenza di organi da trapiantare e le leggi vigenti rendono difficile ottenere un trapianto nei Paesi avanzati. La riprova sta nel fatto che il numero degli italiani che si fanno trapiantare all’estero è drasticamente diminuito: nel 2003 fuori dei confini nazionali si sono fatti trapiantare soltanto 15 cittadini italiani.
Il donatore o la sua famiglia possono scegliere a chi donare gli organi?
No, perché la identificazione della persona cui trapiantare gli organi disponibili non avviene in base a una scelta personale ma al fatto che l’organo donato sia ‘compatibile’, cioè fisiologicamente adatto, all’organismo del malato in lista di attesa.
Il trapiantato può conoscere la famiglia del donatore?
No. Per salvaguardare la privacy della famiglia del donatore, è prassi comune in tutti i Paesi occidentali di non rivelare al trapiantato l’identità del donatore. Molti trapiantati, tuttavia, provano sentimenti di profonda riconoscenza verso chi ha reso possibile la guarigione della loro malattia: anche se si tratta di una persona di cui non conoscono neppure il nome.
È vero che esiste un ‘commercio’ degli organi destinati al trapianto?
Gli unici casi accertati sono la compra-vendita di reni appartenenti a viventi e destinati al trapianto. Si tratta di eventi rari che si sono verificati per lo più, ma non solo, in paesi del terzo mondo. In occidente il commercio degli organi per il trapianto è vietato per legge. In Italia il trapianto da vivente esige controlli molto accurati anche da parte della magistratura: del resto, i centri che hanno eseguito il numero maggiore di trapianti da vivente si segnalano per il rigore etico e organizzativo della loro attività. Ciò detto, è vero che uno dei problemi posti dal trapianto da vivente è il rischio di una compra-vendita.
Tutt’altro discorso è quello che riguarda possibili interessi nel trapianto di organi da cadavere. Il fatto che bambini o adulti vengano sacrificati per rendere possibile la disponibilità di organi da trapiantare è una vera e propria leggenda che non è mai stata dimostrata. Dopo l’eliminazione violenta del ‘donatore’, mancherebbe il tempo sia per una transazione economica che per i test di laboratorio. Inoltre la partecipazione di molte decine di persone (rianimatori, chirurghi, medici, laboratoristi eccetera) ad ogni procedura di prelievo-trapianto esclude che una attività criminosa come quella ipotizzata possa restare nascosta.
La COPEV, una Associazione di malati di epatite, ha preso posizione a favore della donazione e del trapianto: per quali motivi?
Tra i vari tipi di trapianto, quello di fegato è preceduto per numero soltanto dal trapianto di reni. Nel 2008 i pazienti che in Italia hanno ricevuto un fegato ‘nuovo’ sono stati più di mille. D’altra parte, la maggior parte di questi trapiantati è stata portata all’intervento da una epatite virale cronica: la forma più diffusa di questa malattia, l’epatite di tipo C, colpisce in Italia 500-600.000 persone circa. Si tratta di una patologia che può avere un andamento benigno, rendendo possibile una vita praticamente normale, oppure, in un numero minore di casi, evolvere lentamente in cirrosi e tumore epatico. In questi due casi, il trapianto rappresenta non raramente l’unica cura efficace. Per questo motivo coloro che, come molti soci della COPEV, hanno ricevuto una diagnosi di epatite cronica guardano con profondo interesse al trapianto di fegato e sono personalmente motivati al fatto che questa procedura medico-chirurgica sia sempre più diffusa e disponibile.